ANTROPOLOGIA
LA FAMIGLIA DI BOBBY WATSON
La cantatrice calva (La cantatrice chauve) è la prima opera teatrale, datata 1950, di Eugène Ionesco, autore francese – di origine rumena – nato nel 1909 e morto nel 1994. L’opera è una delle prime che fa parte della corrente teatrale del “teatro dell’assurdo”, che vede tra i suoi esponenti, oltre a Ionesco, anche Samuel Beckett.
L’opera si svolge interamente nel salotto dei signori Smith . Lo spettacolo inizia con l’intervento di una voce fuoricampo che ci introduce all’azione e che descrive la scena ed i personaggi dicendo come tutto sia “inglese”. Gli Smith discutono amabilmente nel loro salotto: lei parla della cena appena consumata, lui risolve un cruciverba apparentemente “strano” e, successivamente, discutono dei molti Bobby Watson. A un certo punto della serata, la cameriera annuncia l’indesiderato arrivo dei signori Martin . I Martin, salutati dai padroni di casa, vengono lasciati soli nel salotto, mentre gli Smith vanno a “cambiarsi”, risalendo dalla loro partenza a Manchester ed arrivando alla scoperta di avere una figlia. Figlia che, come rivela la cameriera, in realtà non è la loro.
Questo testo ha una grande rilevanza dal punto di vista antropologioco, poichè mostra come possano essere complicate le relazioni umane, e più nello specifico le relazioni di parentela degli individui.
In uno dei frequenti insulsi racconti del testo, i coniugi Smith parlano di Bobby Watson, che ha una moglie che si chiama Bobby Watson, un figlio che si chiama Bobby Watson etc, gli individui non hanno identità né spessore, ma l’ilarità e i doppi sensi che si vengono a creare indorano il boccone amaro, anzi lo rendono solo subliminale. Gli stessi personaggi sono a tratti scontrosi a tratti smielati l’uno nei confronti dell’altro senza apparente motivo, l’uomo è una bandiera al vento. Nel crescendo della discussione, i personaggi urlano, gli uni nelle orecchie degli altri e al pubblico, frasi scollegate che fanno emergere la loro rabbia repressa e terminano con ripetizioni di “non è di qua ma è di là”, l’uomo sembra non indovinare mai la strada giusta. Tutti questi messaggi sono nascosti in un’apparente commedia che diverte, stupisce, disorienta e fa pensare ma solo a luci spente, soltanto se si cerca di interpretarne il senso rovistando in un mare di assurdità. Il finale, con i coniugi Martin che ripetono l’esatta scena iniziale degli Smith, lascia un riso amaro, ulteriore fendente all’identità dell’uomo.
Ovviamente non è facile rappresentare una piece simile senza seguire pedissequamente i dettami del testo, e proprio questo è stato fatto. I costumi e la messinscena classica riportano subito alla casetta british nei dintorni di Londra degli Smith, e il modo di recitare, sebbene talvolta un po’ urlato specialmente nel signor Smith, fa riemergere dal testo le sue molte parti comiche. I ruoli, sempre in bilico tra l’essere troppo grotteschi o troppo neutrali e grigi, non sono per niente facili: in questo spettacolo si è stati un po’ troppo grotteschi e sparati, talvolta troppo “teatrali”. Il pubblico di Modena, da sempre avvezzo al Teatro dell’Assurdo e a quello contemporaneo, non poteva non gradire con lunghi applausi finali.
Read more ©FermataSpettacolo https://www.fermataspettacolo.it/teatro/lassurdita-societa-umana-ionesco-modena
In uno dei frequenti insulsi racconti del testo, i coniugi Smith parlano di Bobby Watson, che ha una moglie che si chiama Bobby Watson, un figlio che si chiama Bobby Watson etc, gli individui non hanno identità né spessore, ma l’ilarità e i doppi sensi che si vengono a creare indorano il boccone amaro, anzi lo rendono solo subliminale. Gli stessi personaggi sono a tratti scontrosi a tratti smielati l’uno nei confronti dell’altro senza apparente motivo, l’uomo è una bandiera al vento. Nel crescendo della discussione, i personaggi urlano, gli uni nelle orecchie degli altri e al pubblico, frasi scollegate che fanno emergere la loro rabbia repressa e terminano con ripetizioni di “non è di qua ma è di là”, l’uomo sembra non indovinare mai la strada giusta. Tutti questi messaggi sono nascosti in un’apparente commedia che diverte, stupisce, disorienta e fa pensare ma solo a luci spente, soltanto se si cerca di interpretarne il senso rovistando in un mare di assurdità. Il finale, con i coniugi Martin che ripetono l’esatta scena iniziale degli Smith, lascia un riso amaro, ulteriore fendente all’identità dell’uomo.
Ovviamente non è facile rappresentare una piece simile senza seguire pedissequamente i dettami del testo, e proprio questo è stato fatto. I costumi e la messinscena classica riportano subito alla casetta british nei dintorni di Londra degli Smith, e il modo di recitare, sebbene talvolta un po’ urlato specialmente nel signor Smith, fa riemergere dal testo le sue molte parti comiche. I ruoli, sempre in bilico tra l’essere troppo grotteschi o troppo neutrali e grigi, non sono per niente facili: in questo spettacolo si è stati un po’ troppo grotteschi e sparati, talvolta troppo “teatrali”. Il pubblico di Modena, da sempre avvezzo al Teatro dell’Assurdo e a quello contemporaneo, non poteva non gradire con lunghi applausi finali.
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In uno dei frequenti insulsi racconti del testo, i coniugi Smith parlano di Bobby Watson, che ha una moglie che si chiama Bobby Watson, un figlio che si chiama Bobby Watson etc, gli individui non hanno identità né spessore, ma l’ilarità e i doppi sensi che si vengono a creare indorano il boccone amaro, anzi lo rendono solo subliminale. Gli stessi personaggi sono a tratti scontrosi a tratti smielati l’uno nei confronti dell’altro senza apparente motivo, l’uomo è una bandiera al vento. Nel crescendo della discussione, i personaggi urlano, gli uni nelle orecchie degli altri e al pubblico, frasi scollegate che fanno emergere la loro rabbia repressa e terminano con ripetizioni di “non è di qua ma è di là”, l’uomo sembra non indovinare mai la strada giusta. Tutti questi messaggi sono nascosti in un’apparente commedia che diverte, stupisce, disorienta e fa pensare ma solo a luci spente, soltanto se si cerca di interpretarne il senso rovistando in un mare di assurdità. Il finale, con i coniugi Martin che ripetono l’esatta scena iniziale degli Smith, lascia un riso amaro, ulteriore fendente all’identità dell’uomo.
Ovviamente non è facile rappresentare una piece simile senza seguire pedissequamente i dettami del testo, e proprio questo è stato fatto. I costumi e la messinscena classica riportano subito alla casetta british nei dintorni di Londra degli Smith, e il modo di recitare, sebbene talvolta un po’ urlato specialmente nel signor Smith, fa riemergere dal testo le sue molte parti comiche. I ruoli, sempre in bilico tra l’essere troppo grotteschi o troppo neutrali e grigi, non sono per niente facili: in questo spettacolo si è stati un po’ troppo grotteschi e sparati, talvolta troppo “teatrali”. Il pubblico di Modena, da sempre avvezzo al Teatro dell’Assurdo e a quello contemporaneo, non poteva non gradire con lunghi applausi finali.
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