lunedì 27 aprile 2020

DOMANDE PAGINA 244
1. il processo di socializzazione consiste nella completa acquisizione di norme legislative e morali, di una data società, da parte di un individuo arrivato da un altro contesto o appena nato.
2. i contenuti della socializzazione variano in base alla società, poiché hanno a che fare con un'origine storica unica e particolare.
3.  è importante che un individuo venga pienamente integrato all'interno di una collettivià per evitare conflitti sociali o incomprensioni.

I CONTENUTI DELLA SOCIALIZZAZIONE 
E' importante porre l'accento su un altro fatto: se la socializzazione è uguale in ogni contesto, i suoi contenuti cambiano, poiché concernono una serie di valori, norme, linguaggi, che sono storicamente determinabili e che rendono differenti un contesto da un altro.
LA SOCIALIZZAZIONE
Il processo tramite il quale un individuo riesce ad integrarsi in modo completo all'interno della società e a contribuire al suo mantenimento, viene detto socializzazione. Dal punto di vista cognitivo, la socializzazione può risultare simile all'educazione, ma ne differisce poichè coinvolge ogni momento dell'esistenza di ogni individuo presente al mondo, incondizionatamente.
In particolare, ciò che l'individuo deve rendere proprio in modo particolare è la struttura dell'ordine sociale, ovvero il fatto che ogni aspetto dell'esistenza in una società presenta un'organizzazione tipica che deve per forza essere riconosciuta e riprodotta. Se si riesce a fare quanto appena detto sarà possibile vivere con successo.
Va inoltre chiarito, che in sociologia il termine socializzazione assume un significato particolare , ovvero il processo attraverso il quale si acquisisce la padronanza dei modelli di comportamento, appartenenti ad una data collettività.

LA RIPRODUZIONE DI UNA CULTURA
Per inserirsi in una società, l'individuo deve apprendere le regole, oltre che la cultura, che la caratterizzano: è necessario infatti alla società, che le sue norme vengano rispettare, per non causare conflitti sociali o più in generale, situazioni di disagio. Inoltre, la società non può permettersi di modificare questi fattori ad ogni nuova generazione: perciò i nuovi arrivati in una società (possono essere persone che provengono da altri contesti, come neonati) devono imparare a conoscere la lingua, le abitudini, le leggi dello Stato e i valori generalmente condivisi.
Questa imposizione indiretta, non impedisce alla società di evolversi, anzi, ma le è comunque necessaria perché venga garantita stabilità, caratterizzazione e prevedibilità, oltre che ad un'identità.
LA SOCIALIZZAZIONE
L'INSERIMENTO NELLA SOCIETA'
Il mondo con cui un essere umano entra per forze di cose, in contatto, non possiede solo caratteristiche legate allo spazio, quanto sopratutto alla sfera sociale. In questo mondo sociale è necessario imparare a muoversi: è un mondo complesso, fatto di norme, regole a cui deve sottostare, ma anche ruoli e gerarchie in cui l'individuo deve integrarsi.
L'inserimento dell'individuo nel mondo non è semplice: l'individuo deve tenere conto di una pluralità di eventi necessari e di relazioni signficative con le altre persone che deve imparare a gestire.

sabato 25 aprile 2020

DOMANDE SUL CAPITOLO
PAGINA 204
1. il ruolo della ragione nel progresso era centrale: lo strumento cognitivo per eccellenza.
2. in generale, gli economisti consideravano l'educazione poppolare un valore, più nello specifco Adam Smith.
3. Montesquieu considerava  l'educazione repubblicana essenziale, poichè l'unica in grado di trasmettere i valori della patria e della felicità.

PAGINA 207
1.secondo Filangieri il centro dell'educazione è la politica e l'etica.
2. prima di tutto si ha un'educazione elementare obbligatoria per tutti, poi l'educazione ai costumi ed infine un'educazione più elevata paragonabile all'università e accessibile solo a coloro che vivono inn agiatezza economica.

PAGIN 212
1. secondo Kant, i primi anni di vita sono essenziali, poichè è qui che il bambino impara, da genitori, cosa è bene e cosa e male, che un giorno li serviranno per formarsi un'opinione morale.
2. tra docente e allievo deve esserci un rapporto di inteazione, come per il dialogo socratico.
3. nei giovani vanno sviluppate sopratutto le qualità pratiche e morali.
4.gli elementi della pedagogia kantiana che possono essere definiti utopici sonol'uguaglianza e l'amore universali.
LA FORZA DELL'EDUCAZIONE
Alla luce di ciò che è stato detto fino ad ora, gli obbiettivi della pratica kantiana sono la disciplina, la cultura, la prudenza e la moralità.
Disciplinare, secondo il filosofo, significa impedire che l'animalità dell'animo umano metta a tacere la sua umanità.
Molti degli obbiettivi che Kant si prefissa sono però utopici: per esempio promuovere l'uguaglianza e ispirare l'amore universale, ma molti altri fanno trasparire messaggi di fiducia nei confronti dell'educazione. In questo senso l'educazione svolge una funzione di umanizzazione.
È l’educazione infatti a far emergere l’umanità, cioè a permettere l’espressione dell’intelligenza e della scelta etica, perché ognuno di noi è il prodotto di facoltà (a priori) che vengono a maturazione con l’educazione e l’influenza dell’ambiente (a posteriori). Essa è dunque sia il processo di formazione della personalità individuale che il compito infinito dell’umanità. È un’esigenza primaria di autoperfezionamento che coinvolge l’umanità di generazione in generazione, e di nazione in nazione: è un progetto di carattere modniale.
Però questo processo è ancora in atto: l'educazione è un percorso di crescita continua e di miglioramento di tutto l'umanità. 
Sulla pedagogia risulta essere dunque l'opera più matura dell'illuminismo pedagogico, che invita l'uomo a migliorare continuamente se stesso curando la crescita dei figli e la crescita della generazioni future.
LA FORMAZIONE MORALE E LE QUALITA' FONDAMENTALI
Uno degli aspetti d cui si occupò maggiormente Kant fu l'educazione morale, intesa come la capacità di scegliere tra bene e male.
In questo contesto, esercitano una grandissima influenza i genitori, che devono far conoscere al bambino gli aspetti positivi e negativi della vita. In questo modo il bambino viene educato fin da subito a capire cosa è bene e cosa è male.
L'adulto dovrà poi insegnare al bambino che non bisogna agire seguendo una motivazione contingente: si deve seguire l'istinto interiore. Le azioni vanno fatte perché devono essere fatte, non per altri motivi: in caso contrari perderebbero della loro moralità. Il giovane inizierà così ad ascoltare la legge morale universale.
L’educazione naturale concerne anche la disciplina, come limitazione della libertà tesa a produrre le disposizioni di cui il ragazzo si servirà per obbedire alle proprie massime morali. Dunque l'educazione dovrà essere adeguata all'età e agli interessi dei bambini. Essa serve a sviluppare la saggezza e la felicità.
Kant sostiene che se si vuole formare la moralità non si deve punire: la moralità è una cosa così santa che non si deve portarla alla stregua della disciplina.

 La socievolezza, la sincerità, l’obbedienza e il senso del dovere dovranno essere prima suscitati nel rapporto con il maestro,  e il loro sviluppo sarà utile per ottenere, in futuro, un buon lavoro. Sono favoriti in questo senso, i giochi in libertà e con alrti bambini. 
E importantissima per Kant, l'obbedienza e la sincerità: le trasgressioni potranno essere contenute con castighi fisici e morali. I castighi non devono essere inflitti in modo iroso, ma in maniera tale da rendere l’allievo consapevole del loro significato correttivo. I premi non devono essere utilizzati perché spingono ad agire per tornaconto invece che per dovere.
LA PEDAGOGIA DI KANT
Immanuel Kant, oltre ad essere noto per i suoi postulati sulla filosofia, fu di grande importanza anche per quanto concerne la pedagogia.
Nel suo saggio sulla pedagogia, pubblicato nel 1803 sulla pedagogia, Kant delinea le sue idee in merito: Afferma che accanto all'educazione fisica sia soprattutto importante l'educazione morale. Essa ha come oggetto la formazione della personalità e costituisce la parte più importante dell'attività educativa. Essa si articola a sua volta in tre momenti distinti e successivi: la meccanica cultura scolastica, la cultura pragmatica e la cultura morale.
Per Kant lo scopo dell'educazione è la conquista della libertà morale e il dominio della natura: l'acquisizione della capacità da parte della ragione di fare guida al comportamento, traendo da se la legge e la forma da cui dipende il valore morale di ogni atto. Tutto deve coincidere con la cultura dell'animo, che coincide con i valori morali, fisici e fisiologici ed intellettuali.
Le facoltà cognitive sono divise in superiori, intelletto, ragione, giudizio, ed inferiori i sensi, l'immaginazione, la memoria. Esse devono essere entrambe sviluppate al massimo.
Si doveva poi assumere una cultura generale  di fisica, ovvero riflessione e ricerca della verità, e morale.
Egli, suggeriva inoltre di adottare il metodo socratico, da parte degli insegnanti, per trasmettere il loro sapere: l'insegnamento doveva essere un'interazione, non un insieme di domande e risposte.

IL PIANO DELLE RIFORME
Secondo l'autore, tutti dovevano poter favorire di un'educazione: era duanque a favore con l'introduzione della scuola pubblica. Inaftti ognuno aveva il diritto di ricevere un'educazione quanto meno basilare e se poi si fosse trovato nelle condizioni adatte dal punto di vista economico avrebbe potuto accedere ad un gradino più elevato. Ma la prima forma di educazione doveva essere accessibile ed obblicatoria a tutti. Poneva però una distinzionie tra ricchi e poveri, anche nel contesto elementare, in quanto nella sua ottica era più realista: dopotutto era così anche sul piano politico, e ricordiamo come politica ed istruzione erano legate nella sua ottica. I più ricchi andavano a scuola in collegi privati, mentre i più poveri nelle scuole diurne a carico dello Stato.
Una volta adempito all'obbligo scolastico, si passava all'educazione dei costumi, poiché era convinto che solo con la trasformazione complessiva della moralità pubblica avrebbe potuto nascere una nuova idea di cittadinanza. L'importanza di questo passaggio non era attribuita alla religione ma alle leggi.
Per chi lo desiderasse, c'era infine l'istruzione pubblica, che comprendeva le università, le accademie delle belle arti e la stampa, per favorire la nascita di scoperte scientifiche e la loro divulgazione.
GAAETANO FILANGERI
Gaetano Filangieri risolve i problemi dell’educazione nei suoi molteplici aspetti nel quarto libro della sua più celebre opera: “Scienza della Legislazione”pubblicata a Napoli fra il 1780 ed il 1788.
Essa rappresenta l’opera, più importanti a livello nazionale ed internazionale pubblicate nel Settecento per quanto concerne la pedagogia. Essa rientra nel quadro di quel complesso di riforme e di studi pedagogici  che caratterizzarono il Regno di Napoli nella seconda metà del sec. XVIII. Il contro delle discussioni è rappresentato dal dilemma riguardo se convenisse affidare il compito di educare alla iniziativa privata o se fosse preferibile demandarne la cura allo Stato.
Alla base di ogni dibattito era di pragmatica il riferimento all’”Emilio” e al “Contratto sociale” di Rousseau, opere dalle quali, fin dalla loro pubblicazione nel  1762, ogni uomo era toccato incondizionatamente. 
Nella introduzione dell'opera l’autore si propone di elaborare un'opera di sette libri:il primo sulle “regole generali della scienza legislativa”; il secondo sulle “leggi politiche ed economiche”; il terzo sulle “leggi criminali”; il quarto su “l’educazione, i costumi e l’istruzione pubblica”; il quinto sulla “religione”; il sesto sulla “proprietà”; il settimo sulla “patria potestà ed il buon ordine della famiglia”. Il quarto libro fu l’ultimo pubblicato per intero, nel 1785; del quinto fu pubblicata postuma solo una parte; degli ultimi due si conoscono le brevissime sintesi che l’autore ne dà in un “Piano ragionato” che ritenne di dover premettere alla pubblicazione dei primi due libri “per la molteplicità degli oggetti che riguarda quest’opera”: Al centro della sua opera c'è infatti l'idea che l'istruzione sia soprattutto una questione di politica ed etica.
Fondamentali per l'autore erano la  “conservazione” e la “tranquillità” intendendo con tali termini indicare la libertà, la facilità, raggiungibili tramite la pedagogia e l'istruzione.
Il Filangieri era convinto che una radicale riorganizzazione del diritto sulla base di tali principi generali avrebbe determinato una “pacifica rivoluzione” destinata ad assicurare la felicità ai popoli sotto la guida di sovrani illuminati. La virtù non poteva essere che il prodotto di molte altre forze: l’educazione era considerata come prima di queste forze richiamava le prime cure.
Dunque l'obbiettivo dell'autore era quello di rendere il cittadino responsabile ed in grado di partecipare alla vita politica, processo che iniziava nella fanciullezza ma si completava in età adulta. L'educazione non si doveva limitare solo alle aule, ma doveva passare attraverso la palestra, i giornale e i libri: in tal modo l'individuo avrebbe potuto fondare un suo ideale personale e una propria capacità critica.
Generalizzando, possiamo dire che la sua idea pedagogica era quella di istruzione unitaria, che doveva passare attraverso l'educazione pubblica, l'educazione dei costumi e l'istruzione pubblica.

L'EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI PATRIA 
Uno dei pensatori che influì maggiormente sulla concezione settecentesca dell'istruzione fu Montesquieu. Era palese come il pensatore favorisse un'eduzione di tipo repubblicano, unica capace di garantire la completa formazione dell'umo e di rendere lui e la sua patria felici. Questi suoi ideali possono essere ritrovati nella sua opera Lo spirito delle leggi. 
Però, dopo circa vent'anni, molti pensatori iniziarono a domandarsi su cosa la patria stessa significhi in modo effettivo. Per esempio filosofi come Rousseau e Helvetius  arrivarono a sostenere che le idee di cittadini e patria non potevano esistere in un governo retto da solo un uomo. In quest'ottica, l'istruzione era l'unico mezzo in grado da garantire l'uguaglianza tra cittadini. Il modello a cui aspirare erano gli Stati Unititi d'America, che rappresentavano la prima vera repubblica moderna.
PEDAGOGIA
IL DIBATTITO SULL'ISTRUZIONE DURANTE IL SETTECENTO
Come sappiamo, il settecento e dunque l'illuminismo, ebbe un ruolo fondamentale per la diffusione dell'istruzione pubblica grazie alla nuova concezione di ragione, strumento cognitivo per eccellenza.
Nonostante questa apertura mentale, era ancora radicata l'idea che fosse pericolosa  diffondere l'istruzione incondizionatamente: si temeva infatti che potessero essere eliminate tutte quelle professioni agricole, che di fatto mandavano avanti l'economia. Per questo motivo, la diffusione dell'istruzione pubblica fu attuata con estrema cautela.
Per portare questo preconcetto fu utile l'intervento di filosofi come Diderot e Montesquieu. Più specificatamente Diderot, ad esempio, sosteneva che la diffusione dell'istruzione sarebbe andata a sfavorire il settore agricolo: un contadino istruito è meno facilmente opprimibile da altri e la sua professione è da svolgersi in massima tranquillità. Ancora, Montesquieu trovava il popolo istruito incontrollabile, e in quanto tale assolutamente negativo: l'istruzione deve essere limitata. 
Erano invece gli economisti come Adam Smith a cercare di diffondere l'istruzione pubblica: nel suo libro famosissimo la ricchezza delle nazioni, afferma come se le nazioni volessero far crescere la loro economia era necessario che i giovani venissero istruiti.

venerdì 24 aprile 2020

DOMANDE DI ANTRPOLOGIA
P.193
1. la parentela ha a funzione di creare un'identità individuale, un contesto entro il quale l'individuo può indentificarsi.
2. la procreazione è vista generalmente come  un sacralità da connettersi immediatamente con riti religiosi.
3. gli antropologi hanno escogitato il metodo dei diagrammi per rendere più efficiente la mappazzione di un nucleo famigliare.
ANTROPOLOGIA
I DIAGRAMMI DI PARENTELA
Per descrvere le relazioni di parentalatra gli individui, gli antropologi sono soliti a ricorrere a dei diagrammi: essi consentono di identificare in breve le connessioni familiari tavolta molto complesse.
Per illustrare il diagramma vengono utilizzati diversi simboli: il singolo individuoviene chiamamto ego. Dell'ego vengono individuati i consanguigni (colore nero) e gli affini (colore bianco), che vengono collegati all'ego con segni caratteristici.
Per evitare problemi legati alla lingua di  interpretazione, gli antropologi hanno escogitato un sistema nutro per rappresentare i componenti del diagramma: delle lettere che svolgono la funzione di sigle.
DOMANDE CAPITOLO P.177-193 PSICOLOGIA
179)
1.la famiglia nucleare ha smesso di essere l'unle ico modello di famiglia possibile quando nella società s ebbero mutamenti economici, demografici, culturali e sociali.
2.la dimensione individuale e la dimensione collettiva coesistono all'interno di un gruppo familiare attraverso la collaborazione e l'aiuto reciproco.
3.  la  famiglia patriarcale e quella mononucleare si distinguono dalla maggiore flessibilità nello sviluppo della seconda rispetto alla prima, che si sviluppa su di un piano orizzontale e non gerarchico.

182)
1. tali momenti vengono detti momenti normativi, in quanti ritenuti normali e necessari.
2.e principali tappe del ciclo evolutivo familiare sono la costruzione di un'identità di coppia; poi la nascita delle responsabilità di parentela con la nascita dei figli; la crescita di quest'ultimi; l'invecchiamento; la morte.
3.  in passato, il matrimonio era concepito come un atto formale di sostegno familiare, che andava ad intersecarsi con il tema dell'eredità o della salute, mentre ora è concepito più che altro come un fattore sentimentale.
4. molto spesso, con la nascita di un figlio, un genitore si trova incapace di sostenere il peso della nuova responsabilità: in questo casa ci si può trovare davanti addirittura alla fratturazione del rapporto familiare.

183)
1.   una delle più frequenti motivazioni che possono portare al crollo del gruppo familiare, nella società moderna, sono la mancata capacità di essere genitori e partner allo stesso momento.
2.il mediatore familiare è una figura che andò a svilupparsi a partire dagli anni ottanta, il cui compito è prevenire il possibile conflitti e risentimenti all'interno della famiglia,  essendo una figura esterna ed imparziale;  le reti sociali informali sono invece dei gruppi che offrono sostegno familiare in modo informale.
3. secondo la teoria costruttivista, il confitto può rivelarsi utile per risolvere fraintendimenti, ma nn deve sfociare nel maltrattamento o nell'abuso: in quel caso la psiche dell'individuo che la subisce potrebbe venire fortemente danneggiata.
4. le variabili di famiglia che vengono prese in considerazione sono le famiglie bilanciare, le famiglie che si collocano a un estremo delle due dimensioni, le famiglie poco organizzate, le famiglie intermedie e le famiglie gravemente disfunzionali.
5. le conseguenze di una famiglia poco organizzata sul piano della coesione  sono la mancanza di sicurezza e appoggio nei confronti dei bambini.

192)
1.le conseguenze che la pedofilia può avere nella psicologia del bambino sono traumi di tipo sessuale, che possono protrarsi per tutta la vita.
2. all'interno di un gruppo familiare le situazioni di violenza psicologica possono essere il ricatto, la trascuratezza, il maltrattamento fisico e l'abbandono.
3. perché, a differenza del maltrattamento fisico, i cui segni sono visibili sulla pelle del bambino, il maltrattamento psicologico non lascia segni.
4. le idee di base su cui si basa la psicologia familiare sono che la famiglia è un sistema interattivo; il comportamento familiare deve essere interpretato come funzione della relazione tra i componenti del nucleo familiare; ed infine i sintomo vanno visti come espressione di un'organizzazione disfunzionale.
5. il doppio legame è una modalità comunicativa tra i membri familiari caratterizzata da messaggi contraddittori tra gli individui, che vanno a compromettere l'equilibrio inetergruppo.



LA TEORIA SISTEMICA DI PAUL WATZLAWICK
Paul Watzlawick, nato a Villach (Austria) nel 1921, consegue il dottorato in filosofia e lingue moderne all’Università di Venezia nel1949 e  il diploma di analista al Jung Institut di Zurigo nel 1954, a partire dal 1957 insegna per tre anni all’Università di San Salvador. 
Nel 1960 entra nel gruppo di Gregory Bateson al MRI, appena fondato da Don Jackson, diventando il principale portavoce della Scuola di Palo Alto che non lascia più; dal 1976 è anche docente presso il Dipartimento di psichiatria e scienza comportamentale nella Stanford University
I suoi studi sulla comunicazione e sul cambiamento superano le barriere disciplinari: trovano applicazione in qualunque contesto siano coinvolte le relazioni dell’individuo con se stesso, con gli altri e con il mondo, arrivando dunque anche alla fisica, l'economia e le scienze umane. La sua teoria va infatti oltre il campo di applicazione, arrivando a scoprire come l'essere umano inventa la sua realtà. 
Infatti ottenne moltissimi successi: diede ispirazione a molti altri pensatori suoi successivi. Basti pensare che la stessa scuola di Palo Alto, citata prima, non esisterebbe senza il suo contributo. Ma che cos'è la scuola di Palo Alto? Essa è il centro dove per la prima volta andò a svilupparsi la teoria sistemica, applicata alla terapia familiare, alla quale Watzlawick deve la sua fama in maniera più consistente.
Vediamo più nel dettaglio la sua teoria.
L'approccio sistemico spiega il comportamento dell'individuo in relazione all'ambiente in cui esso è vissuto e sulla rete di comunicazioni di cui egli è parte. Infatti, ogni gruppo sociale(famiglia, azienda, ecc.) è un sistema. Dunque, i problemi di una singola parte del sistema possono andare ad influenzare l'intero sistema e gli altri componenti. Il sintomo non viene considerato come un problema del singolo, ma dell'intero sistema.
 Lo psicologo (o gli psicologi: le sedute sono guidate da due o più terapeuti: uno attivo, che conduce il colloquio, gli altri in funzione di supervisori)dovrà, in questo contesto, osservare le modalità di relazione e modificare i modelli disfunzionai presenti nel contesto entro il quale il disagio del soggetto è emerso, stimolando le risorse e rafforzando il funzionamento individuale. 
Per rendere questo possibile sarà necessario che il terapeuta indaghi la storia delle relazioni inter-gruppo con l'obiettivo di comprendere come i sono costruite le mappe attuali, quali dinamiche, quali fattori, quali legami hanno contribuito all'emergere del sintomo o del problema.  Inoltre esplora la funzione che il sintomo riveste per i membri del sistema in esame, infatti esso esiste, si consolida e si alimenta solo se svolge una funzione utile a tutti i componenti della famiglia, seppur in modo doloroso.  Il processo terapeutico è orientato a cercare un significato al di là del comportamento sintomatico e a lavorare sugli effetti pragmatici che la diagnosi ha sulle dinamiche interpersonali del sistema relazionale in esame.
Il terapeuta lavora individualmente o coinvolgendo l'intero sistema(il sistema che viene più spesso sottoposto alla terapia è la famiglia).
In base alle problematiche individuate, lo psicologo darà dei compiti da svolgere al gruppo, sia direttamente in seduta, che anche nel contesto privato, con la finalità di individuare modi alternativi e meno dolorosi per rinnovare le relazioni  e i modelli del sistema.
L’intervento si struttura in genere in un numero di sedute ridotte e in tempi relativamente rapidi: si va da pochi mesi a un massimo di 2-3 anni; le sedute possono essere distanziate, ma intensive (anche 2 ore).

lunedì 20 aprile 2020

sociologia
DALLA DEVIANZA INDIVIDUALE ALLA DEVIANZA ORGANIZZATA
Il sociologo Howard Becker, nel suo libro più celebre,  Outsiders, del 19633, fornisce le basi per la celebre teoria di etichettatura, centrale per capire la sua visione sociologica, che va ad intersecarsi con la già esistente teoria della devianza.  
 La devianza può essere definita come la non conformità alle regole comunemente accettate. La definizione è apparentemente semplice, ma il fenomeno che essa cerca di spiegare è assai più complesso.
Non tutti i comportamenti classificati come devianti hanno lo stesso valore e le stesse conseguenze: non salutare, per esempio, è una forma di devianza molto diversa dal rubare o dal togliere la vita ad una persona. Nel primo caso, si tratta di atti solo disapprovati, gli altri sono anche sanzionati penalmente e pertanto costituiscono comportamenti criminali: c'è dunque una differenza abissale tra anticonformismo e criminalità.  La criminalità è un caso particolare della devianza.
Ad ognuno di noi sarà capitato, almeno una volta nella vita, di comportarsi in un modo non conforme alle norme di etiche della società, ma non per questo, siamo stati etichettati come devianti: l’etichetta di “deviante” è attribuita solo a coloro che violano abitualmente le norme sociali. In questo caso, si parla anche di ruolo deviante. Il vero deviante è, dunque, colui dal quale ci si attende un’infrazione costante e generalizzata delle regole sociali.
Come molto spesso accade, si parte da una devianza individuale, per poi sfociare in una devianza di gruppo: parliamo in questo caso di subculture, o sottoculture, devianti.
È stato dimostrato che, soprattutto nelle bande delinquenziali giovanili, il comportamento deviante è incrementato e portato avanti, nonostante si sappia di star deviando (quindi che l'azione che si sta compiendo non è corretta socialmente) dal fatto che assicura a chi lo compie popolarità all’interno del gruppo. In questo caso, entra inoltre in gioco un altro fattore: per molti giovani che vivono in un ambiente sociale degradato e non hanno la speranza di raggiungere obiettivi sociali elevati, il farsi valere in una banda delinquenziale può rappresentare un tentativo di sfuggire all’emarginazione.
Il sociologo Howard Saul Becker è considerato uno dei maggiori interpreti, assieme a Erving Goffman, della teoria dell’etichettamento . Secondo questo approccio, il deviante altri non è se non colui che viene definito tale (etichettato) dalla società. La devianza non è quindi una qualità dell’atto compiuto da un soggetto, ma il risultato della reazione della società che classifica quell’atto come deviante.
E importante però definire che, paradossalmente, non è tanto il comportamento in sé a spingere un individuo verso la devianza, quanto piuttosto la reazione della società nei suoi confronti: l’individuo che ha violato una norma viene etichettato come deviante o criminale ed è spinto ad accettare questo ruolo, ad intraprendere la carriera di deviante.
Secondo questa teoria,  la carriera di deviante, può essere suddivisa in tre tappe:
1) l’individuo compie, volontariamente o meno, un atto che viola una certa norma; 
2) il soggetto viene arrestato, processato ed etichettato come deviante; ciò comporta un mutamento della sua identità pubblica: ora, egli ha un nuovo status e un diverso ruolo: quello di deviante, appunto; anche una volta scontata la pena, viene emarginato dalla società, di fatto non può più
intraprendere attività legittime; viene, così, spinto verso la carriera criminale anche perché non sembra avere alternative possibili;
3) il soggetto entra a far parte di un gruppo deviante organizzato e si riconosce ormai a tutti gli effetti come deviante. 
 Va infine precisato che la teoria dell’etichettamento non vuole certamente escludere la responsabilità dell’individuo rispetto alla devianza, bensì sottolineare come le istituzioni che dovrebbero risolvere certi problemi spesso possono complicarli o, addirittura, crearli.





venerdì 17 aprile 2020

MODESTIA E POESIA D'AMORE
L’antropologia di Lila Abu- Lughod, studiosa americana di origine palestinese, è estremamente interessante perché ci fornisce un’importante chiave di lettura sul mondo femminile.

Lila Abu- Lughod ha studiato sul campo, dal 1978 al 1980, la tribù degli Awlad Ali, beduini del deserto egiziano. Nel libro "Sentimenti velati" ha raccolto le sue osservazioni ed ha dato vita ad un lavoro etnografico che descrive le donne della tribù e la loro quotidianità. Il ritratto che ne esce è estremamente potente: seppure il contesto ci appare lontano e ci invita a far uso della nostra immaginazione, ci si trova ben presto ad indagare un mondo di sentimenti che poi tanto lontano non è.
Nella prima parte del libro, l’antropologa analizza l’onore, un tema centrale nella comunità degli Awlad Ali. L’ossessione per l’onore, esplicitata differentemente da maschi e femmine, coincide con una serie di rigide regole comportamentali, come ad esempio il mantenimento del distacco in pubblico, il non passare troppe ore con l'amante o ancora mangiare separati. Molto spesso, queste regole vanno a limitare la liberta di espressione della donna, che si trova in difficoltà nel parlare con gli uomini anziani e tendono a dimostrarsi critiche nei propri confronti.
Nella seconda parte del libro, l’autrice tratta il tema della poesia, il mezzo attraverso cui le donne parlano dei loro sentimenti, anche di quelli non permessi. La poesia diventa espressione di una condizione che non è possibile in altro modo esplicitare e fa parte di una tradizione orale che si tramanda tra le donne di generazione in generazione. Questo scopo della poesia, non appartiene solo a questa etnia, ma ad ogni comunità di ogni tempo: possiamo citare, se vogliamo, i sonetti stilnovisti, che cantavano Amore proibito, o addirittura le canzoni più recenti. Lo scopo è cantare di un amore in modo metaforico, poiché esplicitamente sarebbe impensabile.
Letto oggi il libro acquista una profondità e un’attualità su temi centrali come cultura, genere, sui quali i contributi dell’autrice sono fondamentali. Così, per esempio, sul tema del velo, cui allude il titolo, solo la conoscenza diretta dell’usanza beduina legata a un preciso codice sociale permette di fare la differenza rispetto al diverso uso del velo legato alla religione islamica che comincia a diffondersi nel corso degli anni settanta del Novecento. 






ANTROPOLOGIA
L'IDENTITA' ETNICA E LA POLITICA DEL RICONOSCIMENTO
Diversi studiosi antropologi contemporanei, hanno evidenziato come l’identità, e particolarmente l’identità etnica, sia un concetto complesso, definibile  come “la rappresentazione di un insieme di valori, simboli e modelli culturali che i membri di un gruppo etnico riconoscono come loro distintivi”. Quest’identità etnica riflette una costruzione che si invoca come distintiva a seconda delle circostanze, dei tempi e delle situazioni.
L’identità etnica è dunque qualcosa di socialmente costruito dai vari gruppi sociali in relazione agli altri gruppi di una stessa comunità. Gli eventi esterni possono determinare il suo impiego perciò l’uso di una certa “identità etnica” può essere fluido e flessibile ed adattarsi in maniera strategica a seconda della temperie, anche politica, alla collettività di cui è parte.
L’identità etnica è quindi una rappresentazione che si costruisce sulla differenza, su tratti distintivi utilizzati per contraddistinguersi: si tratta di definizioni mediante cui un determinato gruppo si auto-attribuisce una omogeneità interna e, alo stesso modo, una diversità rispetto ad altri.
La definizione di identità etnica elaborata criticamente dagli antropologi, è  frutto di un’intensa frequentazione degli “altri”, ed è stata elaborata verificando sul campo come i diversi gruppi locali si definiscono e come si relazionano nei contesti più ampi di cui sono parte.
L’antropologia culturale è una materia che studia le differenti culture contemporanee ed ha avuto bisogno di elaborare concetti come quello di identità etnica per comprendere ed analizzare le diverse realtà sociali con cui si confrontava: dagli Inuit del Canada alle popolazioni andine del Perù, dalle tribù nomadi dell’Iran e Pakistan alle società segmentarie dei Nuer del Sudan, dalle caste Indiane alle popolazioni nilotiche, dagli argonauti del Pacifico Occidentale agli Indiani d’America.
Oggi più che mai questi strumenti concettuali dell’antropologia culturale ci possono aiutare a comprendere la realtà contemporanea: usare criticamente queste conoscenze può contribuire ad analizzare eventi gravi che vedono coinvolte diverse popolazioni in diversi punti della terra.
L’antropologo Ugo Fabietti illustra, attraverso il caso degli indiani Uroni, le modalità dell’etnogenesi, cioè il modo in cui un gruppo costruisce la propria identità e si prepari a farne uso politico. 
Gli Uroni erano sedentari e produttori di mais, al centro di una rete di scambio coinvolgente nu­merosi gruppi, limitrofi e lontani. Con l’arrivo dei francesi essi vennero coinvolti progressivamente nella caccia finaliz­zata al commercio delle pelli, cosa che andò a modificarne la cultura. Inoltre, nel corso degli anni, le epidemie, e poi le guerre con altri indiani, finirono per decimare gli Uroni che, come ultimo atto, vennero dispersi su terre che non erano le loro. Da allora sono vissuti protetti dal governo canadese per­dendo progressivamente, oltre alle loro terre, la loro cul­tura.
Chi sono oggi gli Uroni? Nel 1968, anno in cui Eugeen Roosens condusse le sue ricerche nel villaggio urone, gli abitanti di quest’ultimo erano un po’ meno di mille e rappre­sentavano la più numerosa comunità di questi indiani in tutto il Canada. Loro atteggiamento caratteristico era il richiamo continuo al passato per validare la propria posizione nei confronti del governo cana­dese. Poiché i circa mille abitanti sono discendenti di individui che per secoli si sono mescolati a francesi e inglesi, non è possibile distinguerli somaticamente tra loro. Anche la loro cultura differisce solo in mi­nima parte da quella dei franco-canadesi. I nomi di fa­miglia sono quasi tutti francesi. Non parlano nemmeno più la loro lingua. Infatti gli Uroni hanno finito per sviluppare quella che Roosens chiama una contro-cultura: una creazione del presente che però ha l’apparenza di presentarsi come “autentica” e distin­ta sia da quella dei non indiani, sia da quelle degli altri gruppi indiani.
La storia degli Uroni è, come si è visto, una storia tragica, la cui conoscenza ci è utile per distinguere le differenze che intercorrono tra una storia così come questa è stata scritta dagli occidentali e una storia autoctona; oltre che per poter di­stinguere tra una cultura “soggettiva”, e una cultura “oggettiva”, quella della vera tradizione urone pri­ma della loro distruzione e dispersione. Quando si è in grado di confrontare questi termini, osserva Roosens, allo­ra si possono adottare delle strategie per osservare il modo di procedere di quella che egli chiama etnogenesi, ossia il modo in cui un gruppo continua a percepirsi come tale, se necessario andando contro i dati inoppugnabili della sto­ria. O, detto altrimenti, per osservare come un gruppo co­struisca la propria identità etnica.