venerdì 17 aprile 2020

ANTROPOLOGIA
L'IDENTITA' ETNICA E LA POLITICA DEL RICONOSCIMENTO
Diversi studiosi antropologi contemporanei, hanno evidenziato come l’identità, e particolarmente l’identità etnica, sia un concetto complesso, definibile  come “la rappresentazione di un insieme di valori, simboli e modelli culturali che i membri di un gruppo etnico riconoscono come loro distintivi”. Quest’identità etnica riflette una costruzione che si invoca come distintiva a seconda delle circostanze, dei tempi e delle situazioni.
L’identità etnica è dunque qualcosa di socialmente costruito dai vari gruppi sociali in relazione agli altri gruppi di una stessa comunità. Gli eventi esterni possono determinare il suo impiego perciò l’uso di una certa “identità etnica” può essere fluido e flessibile ed adattarsi in maniera strategica a seconda della temperie, anche politica, alla collettività di cui è parte.
L’identità etnica è quindi una rappresentazione che si costruisce sulla differenza, su tratti distintivi utilizzati per contraddistinguersi: si tratta di definizioni mediante cui un determinato gruppo si auto-attribuisce una omogeneità interna e, alo stesso modo, una diversità rispetto ad altri.
La definizione di identità etnica elaborata criticamente dagli antropologi, è  frutto di un’intensa frequentazione degli “altri”, ed è stata elaborata verificando sul campo come i diversi gruppi locali si definiscono e come si relazionano nei contesti più ampi di cui sono parte.
L’antropologia culturale è una materia che studia le differenti culture contemporanee ed ha avuto bisogno di elaborare concetti come quello di identità etnica per comprendere ed analizzare le diverse realtà sociali con cui si confrontava: dagli Inuit del Canada alle popolazioni andine del Perù, dalle tribù nomadi dell’Iran e Pakistan alle società segmentarie dei Nuer del Sudan, dalle caste Indiane alle popolazioni nilotiche, dagli argonauti del Pacifico Occidentale agli Indiani d’America.
Oggi più che mai questi strumenti concettuali dell’antropologia culturale ci possono aiutare a comprendere la realtà contemporanea: usare criticamente queste conoscenze può contribuire ad analizzare eventi gravi che vedono coinvolte diverse popolazioni in diversi punti della terra.
L’antropologo Ugo Fabietti illustra, attraverso il caso degli indiani Uroni, le modalità dell’etnogenesi, cioè il modo in cui un gruppo costruisce la propria identità e si prepari a farne uso politico. 
Gli Uroni erano sedentari e produttori di mais, al centro di una rete di scambio coinvolgente nu­merosi gruppi, limitrofi e lontani. Con l’arrivo dei francesi essi vennero coinvolti progressivamente nella caccia finaliz­zata al commercio delle pelli, cosa che andò a modificarne la cultura. Inoltre, nel corso degli anni, le epidemie, e poi le guerre con altri indiani, finirono per decimare gli Uroni che, come ultimo atto, vennero dispersi su terre che non erano le loro. Da allora sono vissuti protetti dal governo canadese per­dendo progressivamente, oltre alle loro terre, la loro cul­tura.
Chi sono oggi gli Uroni? Nel 1968, anno in cui Eugeen Roosens condusse le sue ricerche nel villaggio urone, gli abitanti di quest’ultimo erano un po’ meno di mille e rappre­sentavano la più numerosa comunità di questi indiani in tutto il Canada. Loro atteggiamento caratteristico era il richiamo continuo al passato per validare la propria posizione nei confronti del governo cana­dese. Poiché i circa mille abitanti sono discendenti di individui che per secoli si sono mescolati a francesi e inglesi, non è possibile distinguerli somaticamente tra loro. Anche la loro cultura differisce solo in mi­nima parte da quella dei franco-canadesi. I nomi di fa­miglia sono quasi tutti francesi. Non parlano nemmeno più la loro lingua. Infatti gli Uroni hanno finito per sviluppare quella che Roosens chiama una contro-cultura: una creazione del presente che però ha l’apparenza di presentarsi come “autentica” e distin­ta sia da quella dei non indiani, sia da quelle degli altri gruppi indiani.
La storia degli Uroni è, come si è visto, una storia tragica, la cui conoscenza ci è utile per distinguere le differenze che intercorrono tra una storia così come questa è stata scritta dagli occidentali e una storia autoctona; oltre che per poter di­stinguere tra una cultura “soggettiva”, e una cultura “oggettiva”, quella della vera tradizione urone pri­ma della loro distruzione e dispersione. Quando si è in grado di confrontare questi termini, osserva Roosens, allo­ra si possono adottare delle strategie per osservare il modo di procedere di quella che egli chiama etnogenesi, ossia il modo in cui un gruppo continua a percepirsi come tale, se necessario andando contro i dati inoppugnabili della sto­ria. O, detto altrimenti, per osservare come un gruppo co­struisca la propria identità etnica.







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